PROLOGO: Lungo il fiume St. Paul, al confine con la Liberia

 

La guerriglia era lontana, ormai. La barca poteva procedere senza timore di essere fermata.

Lungo le rive, si stendeva la giungla. Quella era una zona accuratamente evitata dai turisti…ma così lo era tutta la Liberia, ormai considerata troppo pericolosa per le capricciose frivolezze degli occidentali.

La barca era un motoscafo, un modello nero e blu truccato, acquistato da contrabbandieri Italiani per sfuggire alle motovedette della Guardia di Finanza.

Ad intervalli regolari, l’uomo di colore al timone spostava lo sguardo verso gli schermi del radar e del sonar. Gli avevano assicurato che non ci sarebbero stati ostacoli, tuttavia…

Per la stessa ragione, un altro uomo di colore, seduto accanto a lui, faceva da vedetta con un potente binocolo da marina.

Finalmente, giunsero in vista di una piccola insenatura naturale: lì, avrebbero trovato, adeguatamente mimetizzati, i ganci per l’attracco. I guerriglieri avevano usato molto spesso quel luogo per il carico e scarico di armi e cibo: la folta copertura degli alberi nascondeva bene le attività agli indiscreti satelliti degli Americani…

La barca iniziò a deviare verso l’insenatura… “Ehi, cosa sono quelli?” fece l’uomo accanto al timoniere; puntava verso la riva sinistra -era sicuro di avere colto uno scintillio di metallo…

Allo stesso tempo, il radar segnalò tre puntini!

Li avevano scoperti!

Un momento dopo, le cime degli alberi frusciarono. Dirette verso di loro, raffiche di plasma partirono dalle fronde!

Istintivamente, gli uomini si chinarono, temendo di essere sotto tiro… Invece, non un colpo li raggiunse.

Due esplosioni gemelle, in rapida sequenza, ruppero l’aria sopra di loro! Poco dopo, una pioggia di rottami fumanti, venuta dal nulla increspò l’acqua.

I due uomini si scambiarono un’occhiata preoccupata. Si stavano infilando in una trappola? Ma cos’altro potevano fare? Se fossero venuti meno al loro impegno, le loro famiglie ne avrebbero pagato il prezzo…

 

La barca entrò nell’insenatura ad andatura ridotta. La vegetazione bassa sfiorò il tettuccio del motoscafo, graffiò i fianchi, ma tutto andò per il meglio.

Gli uomini ormeggiarono la barca. Poi, uno di loro prese una scaletta e la agganciò alla parete. In quel punto, il terreno si rialzava come una slabbratura.

L’altro uomo sollevò un coperchio, rivelando il loro carico: tre persone, due caucasici, un uomo ed una donna, giovani, ed un orientale più anziano. Erano saldamente bendati ed ammanettati, e puzzavano della loro stessa paura.

I prigionieri, sotto la minaccia delle armi, furono portati verso la scala. Le manette erano abbastanza distanziate da permettere loro di arrampicarsi, anche se con non poche difficoltà.

 

Quando la prima della fila, la donna, fu quasi in cima, una mano guantata di nero l’afferrò per il polso, facendola sobbalzare. Fu tirata su senza sforzo. Poi toccò agli altri due.

Quando i neri furono a loro volta saliti, uno di loro disse, «Abbiamo fatto la nostra parte, come promesso.»

Si trovavano di fronte a un piccolo plotone di soldati. I militari indossavano delle uniformi completamente nere con elmi integrali. Sembravano degli automi sull’attenti. Tre di loro erano occupati a caricare i prigionieri su un hover-camioncino.

Al centro del plotone stava una donna: caucasica, con un volto affilato senza un filo di trucco e gli occhi nascosti da ray-ban a specchio. Il berretto lasciava intravedere un film di capelli neri appena sopra le orecchie. Teneva le braccia incrociate dietro la schiena, «Ed avete fatto un ottimo lavoro, signori.» Detto ciò, dalla schiena estrasse una pistola con un silenziatore.

I due uomini poterono solo guardare, inorriditi, prima di venire freddati da due proiettili per ciascuno, dritti al cuore. Morirono senza un lamento.

Thereza Claymore da Rosetta rinfoderò l’arma. Un ottimo lavoro, sì: peccato che non dovessero restare testimoni di quell’impresa. “Predisponete l’esca. Distruggete i cadaveri e l’imbarcazione. E trattate i nostri ospiti col rispetto che meritano,” comandò ai suoi uomini, che si misero in azione. Tutti avrebbero pensato ad un regolamento di conti fra bande di mercenari. Quanto a chi altri sapesse la verità, per una volta tanto quegli ‘altri’ non avrebbero potuto fare niente.

Adoro i piani ben riusciti! Gongolò a sé stessa, mentre saliva sul furgone.

 

 

MARVELIT presenta

Episodio 21 - IL VOLTO DELLA VERGOGNA (II Parte)

 

 

Monrovia

 

“Chiedo scusa? Avete chiesto aiuto a chi?”

Qualche testa si voltò all’indirizzo del buffo straniero bianco che aveva appena parlato a sé stesso…e, effettivamente, Griffin Gogol era fuori posto, laggiù. Un uomo esile, vestito di una giacca a quadri, stempiatissimo e con una ‘virgola’ di capelli castani sulla fronte. Ritratto vivente del turista sprovveduto…nonché alter ego civile di Capitan Ultra, teamleader dei Campioni dello Zilnawa.

La voce del comandante pro tempore delle F(Forze)S(Speciali)D(Difesa)N(Nazionale)dello Zilnawa, David Stone, era categorica attraverso il ricevitore installato nella mascella. “La Justice Incorporated. Saranno loro a liberare i prigionieri[i]. Signori, come già mi sembra di avervi detto chiaramente, la nostra missione, cioè prelevare quella gente dall’ambasciata per metterla al sicuro dalle spie industriali, è stata un fallimento che ci è già costato un morto ed un ferito grave[ii].

“Per ora, per favore, cerchiamo di concentrarci sulla missione ufficiosa, cioè mettere al sicuro quanti più civili possibile da questa guerra civile. Non intendo coinvolgere quanto resta dello Zilnawa in una scazzottata di super, ne’ voglio dichiarare guerra alla Liberia, chiaro?” Pur non possedendo il carisma di Simone Giapeto, l’originale comandante delle FSDN[iii], Stone aveva un punto a favore.

Griffin, insieme a Terry Sorenson, stava vagando lungo l’’area di sicurezza’ delimitata dai soldati USA e da quelli dello Zilnawa. Davanti ai loro occhi, la gente si muoveva in una lunga fila, diretta verso il molo, dove attendevano le navi sotto bandiera ONU e lo StarGlider-1000, la fortezza volante dello Zilnawa e QG mobile dei Campioni.

Una lunga fila di anime miserabili, gente nei cui occhi la speranza brillava pallida, e sui cui corpi la lunga guerra aveva lasciato segni indelebili di fame e di dolore, C’era un odore tremendo, di corpi non lavati, di infezioni e dissenteria e malnutrizione. Sciami di mosche volteggiavano sui dannati, sotto il Sole cocente.

Ad una distanza di sicurezza da quello spettacolo, a beneficio dei media, sotto gli occhi volubili delle telecamere, folle organizzate ballavano e sollevavano cartelli inneggianti agli americani. Altre telecamere, sul molo, si premunivano di inquadrare le navi e l’SG-1000, cercando di non abbrutire più di tanto il mirabile spettacolo delle forze dispiegate, limitando le inquadrature della tragedia alle scialuppe cariche di disperati, ma non alla tragica processione a terra.

Griffin e Terry si scambiarono un’occhiata frustrata: era stata loro intenzione mettersi alla caccia degli assassini del Ninja Bianco…ma il margine di tempo era a loro sfavore. In più, i droni-stealth mandati dietro ai rapitori erano stati distrutti, cancellando così ogni speranza di rintracciarli in tempi utili; per quanto ne sapevano, i cattivi si erano squagliati chissà dove!

Quanto a ‘raccogliere indizi’ in quell’inferno, cosa avrebbero fatto? Iniziato a sbatacchiare qua e là qualche cristo a casaccio fino a quando qualcuno non avrebbe dato le informazioni giuste? Magari passando per dei pazzi violenti sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale?

C’era da scommettere che il Dottor Destino, simili problemi, non se li poneva!

La processione proseguiva. Terry ebbe un fugace pensiero: come poteva essere rimasta così tanta gente dopo anni di guerra e miseria? Dio, lui credeva di averne passate di brutte da quando un incidente di laboratorio lo aveva trasformato in Equinox, l’Uomo Termodinamico, ma questo

Qualcuno nella folla si mise a gridare scompostamente: una donna, una delle tante madri e mogli che reclamavano il marito o i figli dispersi in…

Terry si accigliò. Un momento..!

La voce gli era familiare. No, mi sto sbagliando!

La voce si avvicinava. La donna stava fendendo la folla, diretta verso di lui.

“Terry? Sembri un gessetto, chi è quella lì?” fece Griffin.

La donna era l’ombra di sé stessa, tutt’ossa, il volto scavato ed i capelli lunghi ed unti. I suoi abiti erano ridotti a stracci; la lunga gonna presentava macchie di sangue all’altezza dell’inguine. Lo sguardo di lei era allucinato. “TERRY! Terry, mioddio, Terry!”

“Kathrina..?” si gettò nella folla. “Kathrina!” Afferrò la donna e la tirò a sé. Uscirono dalla fila e si strinsero in un forte abbraccio. “Dio, ma cosa ci fai qui? Sapessi quanto mi sei mancata…”

In compenso, lei non sembrava così felice di vederlo. Piuttosto, Griffin vide che era…spaventata.

Anche Terry si accorse della tensione in lei. La allontanò leggermente da sé, allo stesso tempo stringendole le braccia. “Cosa succede? Perché mi guardi così, Kat?”

“Mi dispiace…” la voce le tremava. “Mi dispiace davvero, non avrei mai voluto farlo…”

“Fare cosa? Kat, non capis*” realizzarlo lo colpì fisicamente. Lo stupore divenne ira. “E’ Janet, vero? Che cosa le è successo?”

Griffin vide due soldati americani scrutare con attenzione la giovane coppia. Imprecò qualcosa in Yiddish, e si mosse ad ultra-velocità: afferrò la giovane coppia e la portò in un vicolo. I soldati scattarono in avanti, urlando qualcosa. Quando arrivarono sul posto, tuttavia, non trovarono nessuno.

 

Kathrina si guardò intorno, spaventata. Un attimo prima era in strada, ora era in una casa abbandonata; al posto del bianco buffo c’era un uomo nel più colorato costume mai visto.

“Ultra-velocità ed –intangibilità,” disse capitan Ultra. “Qui avremo un po’ di privacy. Allora, che sta succedendo, gente?”

“Kathrina..” Terry era cupo come non mai, ora. “Janet. Che le è successo?” incombeva facilmente su di lei, smagrita e minuta.

Lei arretrò contro il muro. “Non volevo che succedesse. Te lo giuro, non…”

Gli occhi di Terry si accesero di energia. Cap si frappose fra la coppia: ci mancava solo che lui si ‘accendesse’ e mandasse a fuoco tutto quel bel materiale infiammabile! “Pausa, piccioncini. Ora di spiegazioni a zio cap, nu?”

Senza togliere gli occhi di dosso alla donna, Terry disse, “Cap, ti presento mia moglie. Janet è nostra figlia. Contento?”

“Uh..?” se la situazione non fosse stata quella che era, la faccia di cap avrebbe anche fatto ridere.

Terry sospirò.  “Kathrina era figlia di immigrati clandestini, viveva a NY quando la conobbi. Fu amore a prima vista, almeno per me. Lei, come scoprii più tardi, era interessata solo alla cittadinanza americana.

“Il matrimonio, per le autorità, fu più che legittimo: poco tempo dopo, lei era già incinta… Circa un mese dopo la nascita di Janet, però, lei ottenne il divorzio…”

“Eri un violento, Terry, e lo sei ancora,” protestò lei, debolmente.

Lui scosse la testa. “Ho un caratteraccio, non lo nascondo, e me ne vergogno. Almeno, io non ho abbandonato Janet ancora prima di presentarmi all’udienza per l’affidamento.”

“Lasciai delle motivazioni scritte!”

“Sì, i miei poteri; dicesti di temere per la tua vita e quella di nostra figlia. Fu una bella battaglia, in tribunale, con i tuoi genitori che speravano di farmi la pelle… Il giudice però non ci cascò, e preferì affidarla a me.” Tornò a rivolgersi ad Ultra. “Janet è una mutante, Cap, e precoce per giunta: già a sei anni, ha cominciato a manifestare i suoi poteri, e per poco non distruggeva il quartiere un pezzo alla volta.

“Cercai di aiutarla a controllarsi, ma finii solo con l’usare su di lei la stessa violenza che mio padre usava su di me[iv]. Fu Falcon a fermarmi; Janet fu affidata ai servizi sociali, in attesa che degli specialisti come Charles Xavier la seguissero.

“Poco tempo dopo, però, si rifecero vivi i genitori di Kathrina: scatenarono un’altra battaglia per ottenere la custodia di Janet, e la vinsero. Da quel momento, mi fu proibito di avvicinarmi a lei o a loro. E se avessi usto i miei poteri, anche solo per difendermi, avrei rischiato di venire allontanato da lei a vita…”

“Per questo, i Luciferi ti catturarono facilmente[v],” disse Cap.

Terry annuì. I suoi occhi tornarono a brillare. “Kat, sapevo che eri Liberiana, ma come ho detto, l’ultima cosa che credevo era di trovarti qui. Cosa c’entra Janet? E RISPONDI, MALEDIZIONE!”

Sotto l’elmetto, Capitan Ultra era sicuro che la casa sarebbe venuta giù. Aveva visto Terry incavolato, ma questa volta era completamente diverso. Una parte di lui comprese perché la moglie avesse voluto il divorzio…

“Kat aveva le lacrime agli occhi. “Papà…lui era in contatto con un gruppo di guerriglieri, e mandava sempre loro dei soldi. Quando scrisse loro di Janet, furono loro a promettergli molti soldi, se l’avesse portata…da loro.”

Anche nella sua forma umana, Terry era comunque nel pieno della sua forza: spinse via Cap con un solo pugno, per poi saltare addosso a Kathrina. La sollevò per la gola come un fuscello. Ora mi dici dov’è Janet, femmina infingarda! E se la risposta non mi dovesse piacere…”

“Non lo so! Non…” iniziò a rantolare.

Cap, da terra, disse, “Terry, se la uccidi non lo saprai!”

Lui la lasciò andare di colpo. Lei ricadde goffamente a terra. Dopo avere tossito più volte, disse, “Ci hanno separati, io sono stata destinata alle truppe come prostituta. Lei…lei era troppo importante, parlavano di sabotaggi… Quando ho saputo che eri qui, dalla televisione, mi sono decisa a venire… Oddio, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…”

 

Il territorio Liberiano scorse sullo schermo, contrassegnato da una miriade di puntini intermittenti.

“Queste sono le segnalazioni degli atti di guerriglia più ‘spettacolari’,” disse Stone, “almeno stando al database delle forze militari governative.

“Quello che ha fatto più specie a Taylor è che interi convogli pesanti, composti esclusivamente da mezzi blindati e dal meglio delle truppe, siano stati annientati quasi senza colpo ferire. Visto quello che abbiamo appena imparato, comincio a capire perché.”

“Già,” commentò amaramente Hrimhari, il principe-lupo asgardiano. “Chi oserebbe pensare ad un’innocente bambina come ad un pericolo? Parola mia, questi guerriglieri non sono migliori dei loro nemici.”

Sia Hrimhari che Psychlone erano stati chiamati al tavolo delle riunioni. La situazione era di una certa gravità e servivano tutte le mani disponibili.

Stone disse, “La madre di Janet ci è stata alquanto utile per avere un’idea del comportamento dei rapitori di Janet Sorenson. Purtroppo, il loro QG è mobile, e temo che attaccare tutti i ‘potenziali’ sostenitori sia controproducente.

“Per questa ragione, ed anche per rinfoltire l’organico dopo la morte del Ninja Bianco, l’indisposizione di Sundown e la scomparsa di Robert Takiguchi e di Mazinkaiser, desidero presentarvi due nuovi Campioni.”

L’attenzione del quartetto si spostò verso una porta che si aprì non appena Stone ebbe pronunciato le ultime parole.

I due eroi entrarono nella stanza: uno era un uomo, dalla pelle letteralmente nera, con lunghi capelli corvini bluastri, una cotta di maglia stratificata sul robusto torace, guanti e stivali pure di maglia.

L’altra era una donna: una figura magra, agile e dai muscoli guizzanti. Indossava pure lei un’armatura reminiscente di uno stile orientaleggiante. Sulla testa, portava un elmo con due grosse lame ricurve laterali. I suoi lunghi capelli erano bianchissimi. Ed aveva sei braccia, quattro delle quali interamente meccaniche.

“Signori,” disse Stone, indicando i nuovi venuti, “vi presento Ember, il campione sloreno dei Dudak, e Spirale. Vi saranno di non poco aiuto a localizzare Janet.”

“Possono farlo davvero?” chiese Equinox. L’Uomo Termodinamico si era trattenuto dal volare alla cieca in cerca di sua figlia solo in virtù delle pressioni di Capitan Ultra….ma non sarebbe durato, senza risultati e subito!

Fu Ember stesso ad annuire. Parlò con una voce grave, “Anche se nelle mie precedenti incarnazioni ho dedicato la mia vita alla minoranza dei Dudak, ora che gli oppressori Sloreni sono stati annientati da Ultron posso dedicarmi a proteggere i coraggiosi ideali dello Zilnawa. Sarà un onore trovare la bimba innocente.”

“E ovunque si trovi,” aggiunse Spirale, “vi porterò da lei.”

 

“Voglio papà…” la sua voce quasi si perse nel buio della sua prigione.

Era stanca. Era così stanca. Era come sospesa in un sogno senza fine, le ore passavano ma lei era immersa fra la veglia ed il sonno. La sua volontà era stata annullata.

Non sentiva più il metallo del collare, non sentiva più il metallo delle manette. Ormai, neppure remotamente, si chiedeva se mai gliele avessero tolte per sempre. Gliele avevano tolte molte volte, l’avevano fatta arrabbiare, le avevano fatto fare le cose brutte, e poi gliele avevano rimesse. Le prime volte erano stati gentili, premurosi, poi avevano cominciato ad ignorarla…

“Papà…” Janet Sorenson stava bene…per quanto valesse tale parola, date le circostanze. Mangiava, beveva, ma la sua volontà era stata brutalmente spezzata. Puzzava di urine, aveva la dissenteria.

“Papà…” aveva provato a liberarsi, la prima volta. Aveva fatto una cosa brutta, ma era riuscita a fuggire. Poi l’avevano trovata, e l’avevano picchiata, le avevano messo il collare…

“Papà…” pensava a lui, pensava che non avrebbe mai più fatto cose brutte se avesse potuto riabbracciarlo. Pregava per lui, pregava fino a quando la voce diventava roca e allora si addormentava, sprofondava in un sonno senza sogni…

La sua prigione iniziò a tremare. Un rombo attutito venne dall’esterno.

 

“Forza con quel carico! Non ci è rimasto molto tempo!”

Le operazioni procedevano freneticamente. C’erano due TIR stipati all’inverosimile, accanto al relitto ancora fumante di una villa di lusso Uomini in raffazzonate divise facevano la catena passandosi pesanti casse piombate.

Taylor credeva di essere stato furbo: il suo tesoro, il frutto di anni di razzie ai danni del popolo Liberiano, era stato diviso fra diverse località; quello contenuto nei sotterranei -teoricamente a prova di bomba, ma non a prova di mutante- della villa era l’equivalente di una scorta di emergenza.

Oro e gioielli e titoli azionari. Le opere d’arte, troppo difficili da piazzare senza rischio sul mercato, erano state lasciate dov’erano; per gli standard dei guerriglieri, il bottino di oggi avrebbe garantito una base politica inattaccabile per quando ci sarebbero state le prossime elezioni.

Finalmente, il carico fu completato. Le porte vennero rapidamente chiuse. Gli uomini saltarono sulle camionette e le jeep.

“La mutante è al sicuro?” chiese il comandante del gruppo, mettendosi seduto nell’autoblindo di testa.

L’autista annuì. “Come sempre. Non sospetteranno mai della sua presenza.” Mise in moto. Il motore tossì, iniziò a rombare…e si spense. “Uh?”

Dal finestrino, il comandante sentì che nessun motore era acceso. “E ora, che diavolo..?”

 

In quel momento, una serie di luci brillarono intorno al convoglio. Un attimo dopo, al loro posto c’erano i Campioni!

I guerriglieri non erano certo famosi per essere lenti a reagire: avevano già imbracciato le armi all’apparire delle luci. Ed alla vista dei super, fecero quello che l’istinto suggeriva loro: sparare!

Purtroppo, era una mossa ampiamente prevista: Cap fece brillare un anello del suo potere fra gli eroi ed i guerriglieri. I proiettili esplosero al contatto con dei suoni tipo popcorn.

“Allora,” disse Capitan Ultra. “Chi è il comandante, qui?”

L’uomo venne fuori, cupo in volto. Andò incontro ad Ultra, tutto impettito. “Sono io! E voi che ci fate qui? Siete qui per assistere il popolo oppresso, non per fare la gue*” le sue parole si confusero in un verso strozzato, appena un colpo di energia dalla visiera  violetta lo sbatté contro il radiatore dell’autoblindo.

Tenendolo bene inchiodato in quella posizione, Ultra disse, “Rapimento di minori, sfruttamento di minori, violenza sui minori…sono crimini, comandante! E lo Zilnawa non li condona. Ora, risparmiamoci l’ignobile farsa: sappiamo che la bambina è qui, in questo convoglio. Ci dice lei dove, esattamente, o dobbiamo farvi molto male prima?”

Il comandante, pur sentendosi stritolare le costole sotto quella pressione, disse, “Voi…dovete proteggere…la rivoluzione…”

“Fanatici!” disse Ember, pieno di disprezzo. Levò le mani, e da esse partirono tentacoli di energia d’ebano!

Tre soldati furono colpiti in pieno. I tentacoli li trafissero: non ferirono le carni, ma estrassero lo spirito stesso dei disgraziati. E quelle anime urlarono, prima di venire disperse come fumo.

Il comandante poteva essere un uomo disposto a soffrire e morire per la causa. Sotto l’uniforme portava dozzine di cicatrici a prova di tale risoluzione. E lo stesso valeva per i suoi uomini… Ma niente lo aveva preparato alla possibilità di perdere l’anima! “Nel camion! Nel camion di coda! Il genemostro è lì, è lì! Oddio, non mi rubate l’anima, vi prego!”

Equinox andò al camion. Convertì un po’ del suo calore corporeo nelle mani, trasformandole in ghiaccio. Dalle mani ghiacciate partirono raffiche di plasma.

Equinox incenerì la serratura ed i cardini delle porte. Queste caddero giù. “Qui ci sono solo casse. Dov’è la bambina?”

“Nella cassa contrassegnata con il simbolo della FAO, in testa al vagone. È lì dentro! Ci sono bombole di ossigeno per l’aria, non datevi fuoco!”

Equinox salì nel vagone ed iniziò a gettare via le casse come avessero pesato niente. Era in preda ad una frenesia a stento controllata. “JANET! Papà è qui, rispondimi piccola!”

Una cassa finì addosso ad un autoblindo, sfondandone il parabrezza. Nell’impatto a terra, si aprì, rovesciando il contenuto di gioielli e lingotti.

Equinox giunse finalmente alla cassa indicata, così bene nascosta che un ispettore avrebbe avuto il suo daffare per andare a vedere proprio quella. Nel vederla, l’Uomo Termodinamico quasi si lasciò andare in una fiamma nova, tale era l’ira: come si poteva tenere un essere umano in quella…cosa?!

Una mano si poggiò sulla sua spalla. “Lascia che ci pensi io,” disse Psychlone. “E spegniti, o tua figlia la cuoci.”

Equinox fece quanto detto. Il mutante si concentrò. Artigli di energia psichica afferrarono la cassa da tutti i lati…e tirarono.

Janet Sorenson sembrò srotolarsi, una figurina semirachitica e puzzolente, con un boccaglio per l’ossigeno fissato al volto.

Terry la raccolse come se fosse stata una bambola di porcellana. “Janet…Janet…”

“Papà…” gemette lei, senza neanche accorgersi di lui. “Voglio papà…”

Dave si chinò su di lei. Le sollevò una palpebra. “Occhio fisso e dilatato. L’hanno drogata pesante; credimi, me ne intendo,” aggiunse allo sguardo di Terry. “Dobbiamo portarla immediatamente al QG. Lo sa Dio in che condizioni sono il fegato e i reni.”

 

L’X-101 atterrò pochi minuti dopo.

Un team medico caricò Janet sul veicolo, con Terry alle loro costole. Un altro si preoccupò di analizzare sommariamente e poi insacchettare i cadaveri dei guerriglieri ‘despiritualizzati’. Gli altri guerriglieri vennero trasbordati sotto pesante scorta armata.

Ultra digrignò i denti, guardandoli. “Perseguitati per la loro etnia, disprezzati per la razza…e danno alla bambina del ‘mostro. Sai, il bello della Torah è che ci sono tanti bei passaggi sulla vendetta dura. Mi piacerebbe fare l’ortodosso, per una volta, ma ci servono per capire chi sono i loro contatti, chi ha fornito loro le droghe per controllare Janet e tante altre belle cosine.

Al suo fianco, Hrimhari osservava i prigionieri con la stessa, feroce intensità. “Nel mio branco, i traditori della specie sono azzoppati, mutilati e lasciati a sé stessi nell’angolo più ostile della Foresta Incantata. Mi farebbe troppo schifo mangiarli.”

Una missione iniziata per una ragione si era trasformata in qualcos’altro; il Vaso di Pandora era stato scoperto, e i Campioni stavano sempre più toccando con mano uno scenario che fino a quel momento avevano solo visto.

Potevano salvare tutti, cambiare l’Africa in qualcosa di meglio? Non si arrogavano simili pensieri, ma di sicuro non avrebbero ceduto allo sconforto. Avrebbero fatto del loro meglio, questo sì.

A qualunque costo.



[i] JUSTICE INCORPORATED #15

[ii] Ultimo ep.

[iii] Rimasto isolato nella città-stato dall’ep. #19

[iv] MARVEL COMICS PRESENTS #147

[v] Ep. #1